Socialismo e potere sessuale

Visto che il sito di Gigapill dove l’articolo era stato originariamente postato è stato sospeso, si è pensato di riproporlo integralmente qua per evitare la sua scomparsa definitiva dal web (Nota di Millennial Doomer)

In una scena del suo bellissimo documentario My Brothers and Sisters in the North, la regista sudcoreana Cho Sung Hyung visita il parco acquatico di Munsu e nota che nessuna delle bagnanti porta il bikini. Un gestore del parco osserva: «Non ci è permesso indossare il bikini. Non si accorda ai nostri costumi. I nemici tentano di rovesciare il nostro paese, l’ultimo paese socialista rimasto, usando le influenze culturali delle loro strategie ideologiche. Noi ci difendiamo. Ecco perché non è consentito indossare il bikini qui».

Che cosa c’entra il bikini con la strategia ideologica dell’imperialismo? Ascoltando quelle parole, non ho potuto fare a meno di ripensare all’ultimo romanzo di Vsevolod Kočetov: Ma, insomma, che cosa vuoi?. L’intreccio gravita attorno alle peripezie di una squadra di agenti del blocco occidentale che, infiltrati in Russia sotto le mentite spoglie di un gruppo di studiosi d’arte sacra, eseguono i piani di diversione ideologica per minare la fede dei sovietici nella causa del socialismo.

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Risposta al Collettivo Le Gauche

Chi mi segue su Facebook e/o Telegram si sarà divertito a leggere la polemica con i membri del Collettivo Le Gauche che, prima di farsi bloccare per oltraggio alla pubblica decenza e alla memoria del compagno Montanari, dal dicembre 2021 al gennaio 2022 hanno lanciato continui attacchi ai miei post sulla Corea del Nord e sulla questione incel. Le loro argomentazioni sono poi state riassunte in questo articolo.

Dopo aver menzionato alcune fonti scientifiche, il Collettivo Le Gauche conclude così: «Quindi la domanda finale è: di che bisogno necessario si sta parlando quando si parla di necessità del sesso? Risposta: nessun bisogno necessario, ergo fisiologico, ergo capace di porre a disagio l’organizzazione psico-fisica dell’individuo in maniera sistemica e generalizzata».

Questo segno di uguaglianza posto fra “bisogni necessari” e “bisogni fisiologici” contraddice la teoria marxista: «I bisogni naturali, come nutrimento, vestiario, riscaldamento, alloggio ecc., sono differenti di volta in volta a seconda delle peculiarità climatiche e delle altre peculiarità naturali dei vari paesi. D’altra parte, il volume dei cosiddetti bisogni necessari, come pure il modo di soddisfarli, è anch’esso un prodotto della storia, dipende quindi in gran parte dal grado d’incivilimento di un paese e, fra l’altro, anche ed essenzialmente dalle condizioni, quindi anche dalle abitudini e dalle esigenze fra le quali e con le quali si è formata la classe dei liberi lavoratori» (Il capitale, vol. I, Editori Riuniti, Roma 1980, p. 204).

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Femminismo, socialismo e liberalismo

Qualche giorno fa stavo controllando la casella di posta elettronica collegata al blog e ho notato che mi era arrivata una mail da parte di un lettore, il quale mi ha scritto sia per complimentarsi per i nostri articoli (e per questo lo ringrazio) sia per invitarmi a (cito più o meno testualmente) “scrivere di più sui danni del socialismo: questo non per parlare di politica (a me poco frega), ma per evidenziare come le femministe si stiano sempre più servendo (e stiano sempre più pressando) dello Stato-provider per scaricare i costi della loro libertà/irresponsabilità e pagare i loro capricci e i loro problemi su quel famoso 80% di scarto (tutte emancipate, uguali e indipendenti…. ma poi io devo pagare i bonus-bebè dei figli degli altri, i bonus babysitter dei figli degli altri, l’Università dei figli degli altri, assorbenti, fino ad arrivare alla proposta spalleggiata dalla Carfagna sulla minore tassazione per le donne….)“.

Sicuramente il lettore ha sollevato una questione assai pressante non solo per gli incel ma anche per tutti gli uomini in generale, anche se a parer mio sarebbe meglio assumere una prospettiva differente a riguardo: ovvero quella secondo cui l’assistenzialismo statale, seppur originatosi in passato da istanze di matrice social-comunista atte a diminuire gli squilibri economici e sociali, oggi sta venendo indirizzato sempre più in favore delle donne non da un presunto “socialismo” (che nel mondo occidentale è scomparso dalla scena politica a partire dalla dissoluzione dell’URSS e dalla nostra omologazione totale al liberismo), ma da quelle stesse forze liberal-capitaliste che spingono per il femminismo, la social justice e la “discriminazione positiva” degli uomini “bianchi cis etero”. E in effetti se ci si pensa queste proposte non vengono certo dal Partito Comunista di Rizzo, ma esclusivamente da formazioni che si collocano all’interno dello spettro liberale, sia di “destra” che di “sinistra” (per quanto questi termini abbiano ormai perso gran parte del loro significato); del resto Mara Carfagna (quella che vorrebbe istituire incentivi economici destinati esclusivamente alle donne) non è del PD ma di Forza Italia, il partito di centro-destra del milionario Silvio Berlusconi le cui politiche economiche sono totalmente ascrivibili al liberismo e non certo a istanze socialiste. Ed è bene tenere a mente che oggi la propaganda femminista e “progressista” non passa solo dalla Rai e dai giornali del gruppo Elkann (che tra l’altro “socialisti” non sono) ma anche dalle reti Mediaset (si vedano ad esempio gli innumerevoli servizi del seguitissimo programma Le Iene a riguardo), sempre di proprietà del già citato Berlusconi, i cui figli Luigi, Barbara ed Eleonora sarebbero tra l’altro dietro il successo mediatico del noto brand femminista Freeda.

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